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di Gloria Chiarini


Un destino di nome Arno

C'è un personaggio sempre presente, in primo piano ma quasi trascurato, in una delle vedute più classiche e fotografate di Firenze, quella del Ponte Vecchio. E' la stessa presenza silenziosa che taglia in due la pianura e la città quando ci si affaccia dalla terrazza panoramica del piazzale Michelangelo, uno dei "balconi" turistici più famosi e frequentati del mondo.

Stiamo parlando di quella larga striscia silenziosa che si chiama Arno e che un tempo le canzoni definivano "d'argento", fresca e preziosa compagnia nell'afa di tante estati fiorentine. La presenza del fiume, nei secoli più volte devastante, è stata pronta a mettere in ginocchio la città ma è anche stata la fonte primaria della sua esistenza: l'Arno e Firenze, nella loro storia, costituiscono un binomio inscindibile. Come molti centri della civiltà Firenze deve infatti la sua origine alla presenza di un fiume, giunto in questo caso dal monte Falterona in Casentino dopo un lungo percorso tortuoso, e da Firenze poi in discesa rapida verso Pisa e il mare. C'è l'Arno alle radici della meravigliosa storia della città e - come per Roma - c'è poi un luogo fatidico, quello del guado che avrebbe permesso di attraversare stabilmente il fiume facendo transitare da sud a nord sulle due sponde uomini, merci, tecnologie, cultura. Sappiamo oggi che le tracce di antichi abitati e presenze umane nel sottosuolo del centro storico della città risalgono al X secolo a.C., quasi 3.000 anni fa. Sappiamo che qui sono passati i liguri e che vi si sono insediati i protovillanoviani; poi le tracce villanoviane si confondono col periodo arcaico etrusco, l'abitato si configura come emporio sull'Arno frequentato dagli etruschi di Fiesole e si stabilizza con la rifondazione ufficiale romana del 59 a.C., che circonda e ridisegna col suo "castrum" le varie preesistenze. L'Arno resta fuori dalle mura della Florentia di Cesare, ma è proprio ai margini del lato sud, quello del fiume, nell'attuale piazza Signoria, che troviamo i resti di una "fullonica" romana, uno stabilimento per la tintura dei panni, attività che necessita di acqua sempre corrente. Come ne ha determinato l'origine in quel luogo, l'Arno torna dunque a stimolare la citta nell'attivita che le sarà poi "fatale": la produzione di quei panni, per lo più di lana e sempre più raffinati in ogni fase della lavorazione, che avrebbero decretato fin dall'Alto Medioevo la fortuna della città e della sua moneta, rendendo i fiorentini celebri come mercanti e banchieri. Anche il Cristianesimo arriva in città attraverso l'Arno, da Sud, lungo la strada consolare Cassia, portato forse da mercanti siri, greci, armeni cristianizzati, come provano l'origine greca del nome del primo martire fiorentino, Miniato, e il culto precoce della vergine palestinese Reparata. In Oltrarno sono anche le chiese di San Miniato e di Santa Felicita, sul luogo dei primi cimiteri cristiani. Ma è solo nella prima età comunale, con la realizzazione della quinta cerchia di mura (1172-1175), che per la prima volta i tre "borghi" nel frattempo cresciuti Oltrarno vengono compresi nel perimetro delle mura, trasformando così l'Arno in autentica infrastruttura cittadina. Anche se la definitiva fortificazione dell'area risale al 1258, fin da questo momento il fiume cessa di costituire un margine naturale della città per diventare una sorta di asse attorno a cui graviterà per secoli parte cospicua della vita economica di Firenze.


G. Moricci: L'Arno con Ponte Vecchio e il Tiratoio

Le due rive vengono allora fortificate nei tratti a monte e a valle del centro - con caposaldo, per la sponda destra, nel Castello d'Altafronte - mentre quasi in simbiosi con esse vengono a insediarsi attività legate alla presenza del fiume: pescaie, molini, orti (pensate al nome Orsanmichele) e i famosi opifici per la produzione della lana, come gualchiere e tiratoi. Li vediamo ancora nei quadri dell'Ottocento questi buffi edifici irti di pali, fatti apposta per tenere appese al sole ad asciugare le lunghe pezze di panno tinto. L'ultimo tiratoio, situato fra piazza de' Giudici e piazza Mentana, scomparirà nel 1860 per lasciare il posto alla Camera di Commercio. Questo rapporto "produttivo" con l'Arno verrà poi drasticamente spezzato con la costruzione dei nuovi lungarni, prevista dal piano urbanistico realizzato negli ultimi vent'anni dell'Ottocento dall'architetto Giuseppe Poggi.

Già alla metà del XIII secolo il tessuto urbano lungo le sponde risulta il più popolato e a maggiore concentrazione industriale, specie nel settore tessile. Il ruolo di risorsa produttiva e di via di comunicazione commerciale assunto dall'Arno, attestato dai numerosi opifici, trova conferma anche nella presenza di alcuni "porti fluviali" come quelli di San Frediano e di Ognissanti. L'espansione della città aveva da poco portato all'apertura di nuovi ponti in aggiunta all'unico esistente fino al IX secolo e riedificato, dopo l'alluvione del 1178, in corrispondenza dell'attuale Ponte Vecchio (l'altro era pochi metri più a monte). Sorgevano così il Ponte Nuovo (1218) detto "alla Carraia", quello di Rubaconte (1237) poi detto "alle Grazie", e infine il Ponte a Santa Trinita (1237), che permetteva di completare il sistema di collegamenti fra le due rive. Un sistema che, pur nelle successive metamorfosi dei singoli ponti, perdurerà fino ai tempi moderni. Ricostruiti una prima volta dopo la grande piena del 1333, che risparmierà solo quello "alle Grazie", si trasformeranno non di rado in veri "ponti abitati", grazie al sistema di botteghe e oratori disposti lungo le spallette, assumendo un aspetto che ormai conserva solo il Ponte Vecchio ma riscontrabile, ad esempio, ancora nelle vecchie fotografie del Ponte alla Carraia. Solo dal terzo decennio dell'Ottocento, in epoca lorenese, con la costruzione dei due ponti metallici sospesi di San Ferdinando e di San leopoldo, rispettivamente a monte e a valle dei primi quattro, si manifesterà l'esigenza di nuovi attraversamenti del fiume al servizio degli ulteriori sviluppi abitativi verificatisi lungo le sponde. Ad essi, nel nostro secolo, faranno seguito i ponti alla Vittoria e Amerigo Vespucci, il ponte di San Niccolò e il Giovanni da Verrazzano. Oltre che fissarsi nella memoria collettiva della città come contesto di attività produttive e scenario di vita quotidiana, l'Arno ha assunto molto spesso anche la valenza di luogo di ricreazione, specie da quando, nel 1608, i festeggiamenti per le nozze di Cosimo II con Maria Maddalena d'Austria lo trasformarono ufficialmente in spazio ludico della corte. Un tipo di fruizione, questo, che non molti anni addietro un artista fiorentino, Mario Mariotti, ha cercato di attualizzare nelle forme dell'happening.


L'Arno a tramonto

Feste, regate, giochi, spettacoli, si è visto di tutto in riva d'Arno. Ancora oggi, ogni 24 giugno i fuochi d'artificio salutano la festa del patrono San Giovanni Battista lanciandosi dal piazzale Michelangelo per rispecchiarsi nel fiume. E il Capodanno offre la tradizionale regata della Società Canottieri Firenze: una ventina di imbarcazioni che, dalla pescaia di Santa Rosa, raggiunge dopo circa un chilometro di parata la sede della società, che dal 1933 ha trovato casa di fronte al Ponte Vecchio, nelle ex scuderie medicee sotto la Galleria degli Uffizi.

In estate poi le rive dell'Arno sono ancora un posto fresco dove passare le serate afose: i luogi di svago sono un po' più a monte rispetto a un secolo fa, oggi si affacciano nella zona intorno al Ponte San Niccolò, fra la torre della Zecca, in piazza Piave, e il suo contrappunto sulla riva opposta dell'Arno, la Porta di San Niccolò, una delle poche porte turrite ancora esistenti della cerchia muraria del Trecento. Se è sconsigliato ormai tentare un bagno nell'acqua (i bagni di sole sono invece moderatamente praticabili), la serata lungo il fiume ci offre in compenso il teatro all'aperto, i circoli con pista da ballo, i ristoranti, le pizzerie affacciate sull'Arno e, all'estremità sud-est, il parco dell'Anconella attrezzato con giochi e ritrovi. Soltanto durante il giorno è possibile invece frequentare il grande parco storico della città, quello delle Cascine, situato esattamente dalla parte opposta della città e sull'altro lato del fiume. Il lungo triangolo verde che dall'ultima cerchia delle mura prosegue per più di tre chilometri fino alla confluenza dell'Arno col Mugnone, fu comprato dal duca Alessandro de' Medici nel 1536 col nome di "Tenuta dell'Isola" ma la sua organizzazione a parco, mantenendo però il carattere agreste, le "cascine" e i grandi prati, è molto più tarda. La si deve al figlio dell'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo-Lorena, il granduca di Toscana Pietro Leopoldo, che nel 1780 fece ridisegnare il parco come lo vediamo oggi, sostituendo i tigli alla vegetazione di pini e incaricando i suoi architetti Paoletti e Manetti di inserire nel verde squisiti arredi neoclassici come la piramide, la fonte di Narciso e la piscina delle Pavoniere, oggi impianto comunale. Nella prima metà dell'Ottocento le Cascine, ormai aperte al pubblico, divennero la meta domenicale preferita dei fiorentini. Poveri e ricchi vi convivevano, contentandosi i primi di una modesta scampagnata sull'erba, mentre i secondi preferivano le feste notturne. Qui si tiene ancora ogni anno la Festa del grillo, dove i bambini vengono ad acquistare le coloratissime gabbiette di legno con dentro il tradizionale "grillo canterino". Vero teatro mondano sulle rive dell'Arno durante la Belle Epoque, le Cascine ospitavano anche una pista per le corse al galoppo (dal 1836), un tiro a segno (dal 1859) ed erano diventate il regno del cavallo, sia montato da gentiluomini e dame spericolate che attaccato alle carrozze dei nobili o a quelle dei poveri (gli Omnibus inventati da Blaise Pascal).

Se si percorre fino in fondo il lunghissimo viale che taglia il parco avvicinandosi sempre più alla riva, ci ritroviamo alla punta estrema delle Cascine, quella dove la terra è interrotta da un altro fiume, il Mugnone, che qui viene a immettersi nell'Arno. Davanti a noi appare uno strano monumento dalle fogge orientali, una specie di edicola con un busto sormontato da un baldacchino: è la tomba del Maraja di Kolopoor, morto a Firenze nel 1870 e bruciato, come vuole la tradizione indiana, alla confluenza di due corsi d'acqua. Il nostro viaggio sul fiume si conclude qui, in questo caratteristico e fresco belvedere sull'Arno che - proprio in memoria dello sfortunato principe - un curioso caso del destino ha voluto ribattezzare col nome di "Indiano".


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