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Di Cinzia Dugo



Natale 1999: questa sera a cena da me o da te?

La festa del ceppo. A Firenze un tempo si chiamava così la tradizionale festa di Natale che aveva quale simpatico e immancabile protagonista un grosso tronco d'albero intorno al quale si accalcavano bambini e adulti ansiosi di vivere e godersi l'aspetto più commerciale di questa ricorrenza: i tanto ambiti regali. Un'antica consuetudine che si è conservata intatta nel tempo, che neppure il trascorrere dei secoli ha potuto scalfire. Allora come oggi, infatti continuiamo a osservare tale usanza preparando la nostra casa all'ingresso di questa magica armonia, con l'allestimento dell'albero di Natale che, in realtà, è di origine nordica o del presepe, nella cui produzione gli artigiani napoletani sono diventati dei veri e propri maestri. Anche quest'anno si sta avvicinando il Natale, la festa per eccellenza, quella che ci invita a ricordare uno dei momenti simbolici più alti nella storia del cristianesimo, quella che, altrettanto poco timidamente, sembra sussurrarci all'orecchio di non badare a spese per far felici i nostri cari con regali o magari gustosissimi pranzi. E noi, o meglio le nostre nonne, non fanno fatica a seguire il consiglio, indossando per l'occasione i panni di grandi cuoche in grado di tenerci legati alla sedia per più di tre ore. Anche questo, se vogliamo, è un importante patrimonio culturale che abbiamo ereditato nel corso dei secoli. Basti pensare ai fastosi e spettacolari pranzi rinascimentali che, memori delle glorie del passato, talvolta in occasione di feste medioevali, alcuni paesi della Toscana fanno rivivere e 'gustare'. Immaginiamo quindi di trovarci in uno di questi splendidi borghi, di aver accettato il giorno di Natale del lontano 1531 l'invito di un nostro facoltoso amico, non uno qualunque, ma un personaggio in vista dell'epoca, uno col pallino della cucina sofisticata e leziosa, come Alessandro de' Medici che tra l'altro divenne famoso per la lussuria e la dissolutezza dei suoi costumi (figuriamoci quelli enogastronomici!). A questo punto, seduti comodamente, non potremmo non notare con un certo stupore il lusso, l'abbondanza, la varietà e le straordinarie coreografie con le quali i piatti fumanti o dai mille odori vengono portati a tavola. E allora cominciamo a descrivere gli antipasti, ad elencare le più svariate insalate di lattughe che, più tardi, divennero talmente famose da prendere il nome di un altro noto personaggio del XVI secolo che pare ne fosse particolarmente ghiotto: la grande buongustaia Caterina de' Medici che ebbe il merito di introdurre la cucina italiana in Francia. Per chi si vuole cimentare nella preparazione dell''insalata Caterina' tenga presente che sono necessari i seguenti ingredienti: insalate di campo miste, pecorino toscano, uova (mezzo a testa), filetti d'acciuga, capperi, aceto, olio d'oliva, sale e pepe.



Tornando allo sfarzoso pranzo del "Duca di Firenze", dopo le insalate di carote, radicchio, capperi e indivia vedremmo sfilare, prosciutti, salami, coppe, cervello, mortadella, polpette fritte e coratella. Ancora una parentesi per parlare di quest'ultimo piatto: nella tradizione toscana è presente la coratella d'agnello (polmone, cuore, fegato, milza, trachea) che si può far cuocere con del pomodoro, aglio, vino e ramerino o 'in bianco', con del brodo e accompagnata da una rosa di carciofi. Molto in uso era anche la salsa d'agresto (uva acerba, noci fresche e mollica di pane) alla quale gli antichi attribuivano strane proprietà e virtù. Si diceva infatti che era un ottimo antidolorifico e disinfettante, inoltre favoriva il parto e i sentimenti amorosi. Proseguiamo con le pietanze del nostro interminabile pranzo. E' arrivato il momento culminante della serata: esattamente come in un film, dalla cucina ricca di profumi, giungerebbe, portato da un esercito di camerieri su di un grande vassoio il re della serata, osannato e acclamato, a scelta, un fagiano, un pavone o un cinghiale, rivestito di pelli e di piume che noi commensali, ahimè, dovremmo limitarci ad ammirare perché la lunga preparazione dei cuochi porta la carne alla putrefazione e il fetore che emana l'animale viene sapientemente mascherato con essenze odorose e spezie. Tuttavia, nonostante questo, continueremmo a mangiare a sazietà, arriveremmo alla fine della festa, saremmo in procinto di salutare il nostro ospite, soddisfatti per la qualità dei cibi e la loro teatrale presentazione, aggiungendo forse alla fine il desiderio di ricambiare l'invito. Ed è qui, ora, che il nostro gioco di fantasia gastronomica, si fa ancora più interessante. Immaginiamo, infatti, in occasione della prossima festa di Natale, di essere noi gli organizzatori di una cena che avrebbe come illustre ospite Alessandro de' Medici. Che cosa cucineremmo per lui, cosa gli faremmo trovare sulla tavola accuratamente allestita con decorazioni e accessori tipicamente natalizi? Dopo il primo entusiasmo ci assalirebbe un comprensibile timore dovuto al pensiero che difficilmente potremmo riuscire ad eguagliare il suo menù per abbondanza e varietà. Tuttavia ci metteremmo all'opera, mossi dall'orgoglio e dal desiderio di far sfoggio delle nostre doti culinarie, nonché della migliore tradizione toscana. Così, dopo aver reclutato la mamma o meglio ancora la nonna, cominceremmo con la preparazione, anche questa lunga e faticosa, del tipico pranzo di Natale, attenendoci peraltro alla più stretta tradizione fiorentina. Un menù che non prevede primi piatti asciutti, ma questo poco dispiacerà al nostro ospite, visto che ai suoi tempi non se ne vedeva neppure l'ombra. Quindi in compagnia di Alessandro che, imbarazzato per l'eloquenza del suo stomaco non fa niente per nascondere una certa impazienza, daremmo inizio alla lettura delle pietanze del nostro elaborato menù. Primi della lista: Brodo di cappone in tazza o Cappelletti in brodo o Brodo coi taglierini. Il brodo è un elemento fondamentale della cucina toscana. Per una perfetta riuscita sono indispensabili: carne di manzo mista, mezza gallina (da qui l'appellativo "brodo appollocato"), un osso spugnoso, una cipolla, 2 carote, un gambo di sedano e due pomodorini. Alcuni documenti conservati alla Biblioteca Laurenziana attestano che fin dal 1200 il brodo era un'ottima medicina per le puerpere e i malati; serviva a chi aveva difficoltà ad inghiottire e a chi aveva la gola secca e chiusa. Procediamo con i crostini di fegatini con affettati, serviti come antipasti in tutti i ristoranti e trattorie della città. La soluzione più classica e, forse la migliore consiste nello spalmare l'impasto ancora tiepido costituito da fegatini di pollo, fatti cuocere con della cipolla, precedentemente rosolata, filetti d'acciuga, capperi, poco brodo e un cucchiaio di vinsanto, su delle fettine di pane di qualche giorno alte circa 6/7 mm abbrustolite e passate velocemente nel brodo.

 

Seguirebbe poi il Cappone in galantina o al forno che è un galletto castrato all'età di circa 3 mesi, da sempre considerato un cibo di lusso e preparato nei giorni di festa. Nel defilè delle portate lo accompagnerebbe il delizioso sformato di gobbi, un piatto tipicamente invernale, chiamato così per la forma arcuata delle costole di cardo che è l'ingrediente principale di questo piatto di cui esistono diverse versioni: "gobbi in umido" (gobbi lessati e rosolati con aglio e cipolla con l'aggiunta di pomodori e basilico) e "gobbi fritti" (lessati, infarinati, passati nell'uovo e fritti). A questo punto immancabili sarebbero gli arrosti di faraona, l'arista, i fegatelli e i tordi. Secondo una leggenda il nome arista, attribuito alla lombata di maiale, deriva da una definizione del patriarca Bessarione venuto a Firenze nel 1430, in occasione del Concilio Ecumenico.
Pare che il bizantino, dopo aver assaggiato questo piatto, in segno di approvazione, si sia abbandonato all'espressione "Aristos", che in greco vuol dire il migliore. Si tratta di un episodio inverosimile, dimostrato anche dal Sacchetti, il noto umanista che un secolo prima, in una delle sue novelle, faceva già riferimento ad un tipo di carne chiamata arista. Sicuramente il nostro ospite, tra una portata e l'altra, ci potrebbe aiutare a far chiarezza sulla questione. Le ultime portate del nostro pranzo sarebbero una fresca insalata di campo e per finire il dolce: Panforte, cavallucci, ricciarelli e biscotti di Prato; questi ultimi sono chiamati anche "cantucci", morbidi o croccanti, ripieni di mandorle, squisiti se inzuppati nel Vin santo dolce o nell'Aleatico dell'Elba detto "il Morello". Ancora un ultimo bicchiere di vino, un buon rosso di Montalcino, ed ecco portata a termine la nostra impresa culinaria. L'ospite non ne può davvero più, il suo volto compiaciuto e un po' ebbro ci riempirebbe di orgoglio e soddisfazione. Infine, ancora non paghi della calda accoglienza riservatagli, al momento dei saluti, lo faremmo rimanere con un palmo di naso regalandogli una confezione di pasta fresca ed una ricetta che addirittura porta il nome della sua celebre famiglia: gli altisonanti Maccheroni alla Medici. Per la realizzazione occorre munirsi di mezzo petto di pollo, 4 cucchiai di piselli, tartufo bianco, parmigiano grattato, sale e pepe. Dopo aver lessato e rosolato il pollo con una noce di burro aggiungere poca acqua calda e i piselli, già lessati. A cottura ultimata versare la pasta nella salsa e cospargere di parmigiano. Dopo qualche minuto affettare delle sottili lamelle di tartufo, servire i maccheroni molto caldi. Di queste indicazioni farebbe tesoro Alessandro de' Medici che, eccitato per la novità, una volta tornato a casa, si spaccerebbe per l'inventore dello squisito piatto; forse diventerebbe il cavallo di battaglia dei suoi sontuosi pranzi. Peccato che la busta contenga soltanto 500 gr. di ottime pappardelle!


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