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di Cinzia Dugo

Una finestra aperta sulla vita più segreta di Dante
"Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai
per una selva oscura chè la dritta via era smarrita".

Lo confesso: non avrei alcuna esitazione a mostrare il mio stupore di fronte agli occhi incerti e magari sbigottiti di chi, dopo una timida lettura del testo, stentasse ancora a riconoscere questi famosissimi versi. Al contrario non giudicherei titanica l'impresa di fare appello alla memoria per poter improvvisare uno dei più noti versi, divenuti ormai proverbiali ("Perdete ogni speranza voi ch'intrate[...], Amor, che a nullo amato amar perdona[...]), della sopracitata Divina Commedia o anche esporre alcuni dati biografici del suo insigne autore.

E' indubbio infatti che più o meno tutti riconosciamo a Durante Alighieri (Dante era soltanto un'abbreviazione) il merito di aver dato un nome e un'identità alla nostra letteratura. Ma se volessimo superare quelli che sono i luoghi più comuni del figlio amato e odiato da "madre Florentia", cosa risponderemmo alla domanda: sappiamo veramente tutto del poeta toscano, simbolo ormai della poesia italiana? Per il piacere dei più appassionati e di quello dei più curiosi, a questo interrogativo intendo rispondere mettendo in evidenza aneddoti, strani episodi, supposizioni finalizzati in parte ad approfondire lo studio del poeta, della sua opera e dell'ambiente sociale in cui vive, in parte a rendere più umano quel profilo, austero e scontroso ad un tempo che spesso, forse influenzati dall'aura poco terrena delle tre canti che tendiamo a mitizzare.

Potremmo cominciare con un episodio post-mortem indubbiamente degno del mondo ultraterreno che Dante, durante il famoso viaggio immaginario, rappresenta nel suo poema, gremito di significati morali e allegorici. E' infatti Boccaccio, altro grande letterato che tanto osannò Dante, a narrare del singolare ritrovamento degli ultimi tredici canti del Paradiso avvenuto all'interno della stessa abitazione del poeta che si presume sia ubicata dietro Piazza del Duomo, messa a suo tempo a soqquadro dalle insistenti, ma vane ricerche da parte di figli e amici. Accadde, così, una notte che proprio al figlio Iacopo che più degli altri aveva fino a quel momento frugato, esaminato tra le carte del padre, apparve in sogno Dante il quale, biancovestito e soffuso di luce, prendeva per mano il figlio e, condottolo nel suo studiolo, misteriosamente gli indicava un punto della parete.

Iacopo svegliatosi di soprassalto e turbato dal sogno di cui irrazionalmente presagiva l'importanza, si mise alla ricerca degli ultimi canti del poema e proprio nel punto indicato dal padre scoprì una piccola nicchia nella quale erano conservati, in parte già ammuffiti, alcuni rotoli polverosi. Il mistero che avvolgeva questa vicenda e che aveva indotto la famiglia Alighieri a considerare perduta l'ultima parte del Paradiso era finalmente risolto: quei plichi che con mani trepidanti il figlio cominciò a spiegare, per poi, con la stessa emozione trascrivere e inviare a Cangrande della Scala non erano altro che quegli ultimi preziosi manoscritti che consentono oggi a noi lettori di conoscere la 'divina fine' della più nota opera dantesca.


Ritratto di Dante

Le sfumature oniriche che caratterizzano l'aneddoto della nicchia segreta diventano estremamente terrene in alcune particolari vicende dalle quali traspare l'immagine di un uomo che conduce una vita tutt'altro che spirituale e sul cui conto, se si considerano relativamente corrette le notizie fornite da alcuni documenti, molto può essere messo in discussione. Sto parlando di integrità morale minacciata da frequenti rapporti (dal 1927 al 1301) che i fratelli Alighieri, per la difficile situazione economica nella quale li aveva lasciati il padre, furono costretti ad intrattenerecon usurai e creditori; sto parlando anche di fedeltà coniugale messa in dubbio a causa della scoperta di un atto notarile che prova la presenza di un certo Giovanni, presunto figlio illegittimo del poeta fiorentino. Dante deve la sua notorietà non soltanto al poema, ma anche alle opere minori delle quali ricordiamo la Vita Nova (1293), il Convivio, il De Vulgari Eloquentia (1304-1306), il De Monarchia (1310) e la Quaestio aquae et terrae, da lui letta a Verona nel 1320.

Di certo non si corre il rischio di eccedere affermando che quella di Dante fu una vita dedicata interamente al sapere come lo attestano gli svariati generi da lui toccati; un sapere che però non fu mai riconosciuto, ad esempio, con la consegna di un diploma di laurea, documento che Dante si augurava di conseguire proprio nella capitale della cultura internazionale: Parigi. Purtroppo nonostante la sua bravura il poeta non potè mai portare a termine gli studi. Il motivo? Sembrerà strano, ma il problema, simile a quello attuale, si riduce ad una penosa questione di soldi, soldi che mancarono per riunire l'assemblea che doveva concedere l'ambito titolo accademico. Come abbiamo già visto non è soltanto nella vita del letterato fiorentino che si riscontrano aneddoti o strani episodi; anche dopo la morte, avvenuta il 14 Settembre del 1321, il poeta sembra infatti legato a vicende singolari. E' il caso delle spoglie dantesche che dopo il decesso furono tumulate nella chiesa di San Francesco a Ravenna; soltanto nel XVI secolo Firenze, grazie a Leone X, ottenne il consenso dalla città emiliana alla restituzione delle preziose spoglie.

Ma quando il sepolcro venne aperto non fu trovato nulla. Si trattava di trafugamento, di negligenza? Questo i ravennati non seppero spiegarlo fino al 1865 quando, durante i lavori di restauro nel chiostro francescano, fu scoperta una cassetta contenente proprio le ossa di Dante e una lettera del 1677 che motivava la scomparsa delle spoglie con un trafugamento da parte dei frati che allora non volevano consegnarle alla città natale. Adesso se vogliamo far visita alla salma del poeta dobbiamo dare la precedenza alla città di Ravenna, non tanto a quella di Firenze, dove in Santa Croce, in onore del poeta, è stato innalzato, forse troppo tardi, un gran monumento funebre, ma vuoto. Indubbiamente triste il destino di uno dei più noti pilastri della nostra letteratura che dalla sua città, nonostante le divergenze politiche, non si aspettava altro che un po' di rispetto, di riconoscimento quello di cui non è mai stato ritenuto degno, nemmeno a distanza di così tanti secoli.


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