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Di Cinzia Dugo




Firenze: e' qui la festa?

Se da una parte mette tutti d'accordo il valore che comunemente contraddistingue le feste, siano esse pubbliche o private, religiose o civili, dall'altra ci sono non pochi dissensi sull'assegnazione del titolo di festa per eccellenza, quello di cui, per intenderci, da molto tempo si fregiano Natale o Pasqua. Tuttavia, pur essendo leggendarie prime in classifica, c'è chi ritiene che degne rivali possano essere considerate due delle nostre tradizionali ricorrenze invernali in quanto conferiscono al calendario un tocco di allegria e spensieratezza. Stiamo parlando dell'Epifania, festa ripristinata nel recente 1987 dopo una soppressione di circa nove anni e del Carnevale, spettacolare protagonista del secondo mese dell'anno. Entrambe le feste sono molto antiche, l'una istituita nell'era cristiana dagli apostoli, l'altra legata ai rituali profani di carattere orgiastico e recuperata ed esaltata durante i Rinascimento quando i fiorentini, in particolare, si lasciavano trascinare dal vortice dei festeggiamenti raggiungendo apici più o meno sfarzosi perché questa era la concezione che all'epoca avevano della festa, intesa più come pausa al duro lavoro quotidiano che come atteso momento di ozio e alla quale i cittadini di Firenze partecipavano attivamente e non solo da spettatori.
Così, circoscrivendo il nostro discorso al capoluogo toscano, possiamo affermare che lo spirito dinamico e ardimentoso che animava i fiorentini si accentuava durante le feste spingendo l'intera popolazione a non badare a spese per la celebrazione di un evento religioso o profano. Costituiscono un memorabile esempio i maestosi spettacoli allestiti per ordine di Lorenzo il Magnifico che, nonostante la sua innata prodigalità e interesse verso tutto ciò che poteva rimandare alla parola cultura, non ignorava l'importanza 'politica' del detto "Pane e feste tengon il popolo quieto". Tornando all'origine delle feste l'Epifania oggi è ricordata soprattutto dai bambini, i quali con trepidazione la notte del 6 gennaio aspettano l'arrivo della fantomatica befana. Un personaggio che nell'immaginario collettivo infantile gode di grande stima e sostiene il ruolo di una dolce vecchietta dall'aspetto non proprio piacevole, in là con gli anni, col naso bitorzoluto e il mento prominente, ma dall'animo buono e generoso. Secondo quanto detta la tradizione è compito di questa simpatica nonnina riempire le calze dei suoi piccoli fans facendo distinzione tra bravi e discoli, premiati con dolciumi vari o carbone, regali che vengono elargiti in base al comportamento degli ingenui destinatari. In realtà di questo buffo identikit si può parlare come del frutto di una delle tante manipolazioni cui il popolo giunge quando la linea di demarcazione tra storia e leggenda diventa tanto sottile da scomparire, soprattutto se entra in gioco la forza della fantasia e dello spirito. Probabilmente i bambini non sanno che il vocabolo Epifania deriva dal greco "Epifaneia" e vuol dire manifestazione, cioè apparizione dell'umanità e divinità di Gesù Cristo ai Re Magi. Ha quindi un profondo significato religioso festeggiato dalla Chiesa dodici giorni dopo il Natale. Sarà in seguito che la festa subirà un lento processo di trasformazione, una sorta di profanizzazione in quanto il popolo comincerà a considerarla un preludio del Carnevale, allusivo ai primi cortei mascherati che derivano direttamente dalla sacre rappresentazioni medioevali. Così, in un primo momento rimane intatto il valore di richiamo all'evento religioso del viaggio dei Magi a Betlemme, tant'è che gruppi di giovani travestiti recitano scene di carattere religioso. Poi prendono il sopravvento i cortei mascherati, i magnifici carri e le varie befane circondate da Befani, giovani mascherati, autori di canzoni di carattere religioso (le Befanate). Solo successivamente, col passare del tempo, si ha della festa un'interpretazione in chiave prettamente popolare: le Befane rappresentate da fantocci vengono trasportate su di un carro circondato da giovani che suonano lunghe trombe di vetro per poi, giunte in una piccola piazza, finire tra le fiamme di un rogo cui fa da sfondo una folla eccitata e chiassosa. Da qui si passa all'ultima trasformazione per la quale l'Epifania, perduti i caratteri pubblici, diventa una festa che ha i suoi primi assidui deferenti nei bambini, ben contenti che sia stato oscurato l'aspetto più pauroso che inizialmente aveva la tradizione, evocativa della strage degli innocenti al fine di privilegiare il momento a loro più congeniale della consegna dei regali. Come abbiamo già detto prima, anche il Carnevale potrebbe essere impalmato a festa più amata dell'anno non foss'altro che per i suoi lontani progenitori, i Saturnali romani, da cui trae origine ed eredita la tendenza al capovolgimento dei ruoli: schiavi che diventano padroni e viceversa. Durante il Rinascimento l'immagine tanto affascinante quanto inquietante del 'mondo alla rovescia' continua a manifestarsi affiancando un altro aspetto che non tarda ad esprimersi e ad acuirsi: la voglia di divertirsi a tutti i costi, la spensierata gaiezza, l'allegria e la licenziosità amorosa e gastronomica. Del popolo fiorentino persino le donne relegate al ruolo di moglie e madre approfittano di questo straordinario momento per dar libero sfogo ai desideri più sfrenati e si prendono gioco dei loro mariti intonando: "deh andate col malanno/vecchi pazzi rimbambiti/Non ci date più affanno,/contentiam i nostri appetiti..." Senza dubbi nella Firenze del '500 la parentesi del Carnevale, onorata sia dal volgo che dalla ristretta cerchia dei letterati o dei nobili, è sinonimo di balli, canti, cene, carri mascherati, giostre, tornei e partite di calcio. Tutte forme di svago e ricreazione che, organizzate negli splendidi palazzi signorili o semplicemente per strada, svolgono una funzione sociale ben precisa, quella di aggregare, accorciare le distanze, appianare le differenze e con esiti pienamente positivi dovuti probabilmente al fatto che non manca la consapevolezza da parte degli opposti strati sociali che la durata di questo liberatorio disordine gerarchico é limitata ad un periodo breve. La festa del Carnevale é una grande celebrazione della vita in tutti i suoi aspetti e forme, non solo dal punto di vista materiale, ma anche spirituale; ricordarla significa dimenticare, anche se per poco, la condizione sociale alla quale si appartiene, cambiare quindi identità, provare ad essere qualcun altro o qualcos'altro, mascherarsi, fingere. Da questa tendenza scaturisce il proliferare di rappresentazioni prevalentemente comiche e a carattere amoroso che diventa una delle cifre più caratteristiche della baraonda del Carnevale, un appuntamento irrinunciabile per spettatori e attori di qualsiasi livello socio-culturale che vogliano essere serenamente coinvolti nella dimensione del 'senza conseguenze'. E dove se non a teatro, il tempio della finzione, il simbolico binomio essere-apparire raggiunge la sua massima espressione? Proprio lì, in onore della festa, soprattutto nel corso del Seicento, quando a Firenze viene inaugurata La Pergola (1657), il celebre teatro costruito in base ad un progetto di Ferdinando Tacca, si allestiscono spettacoli, si organizzano veglioni e balli: la platea, sollevata grazie a speciali meccanismi e collocata allo stesso piano del palcoscenico, si trasforma in un'enorme pista da ballo, mentre gli ambienti dei palchi e retropalchi sono utilizzati per imbandire cene. A proposito di prelibatezze carnevalesche il nostro giovedì grasso allora era chiamato Berlingaccio dal tedesco antico bretling (tavola) termine che, riferito più alle donne che agli uomini, assunse il significato di bere e chiaccherare a pancia piena. Tra le specialità che in passato abbondavano sulle tavole dei banchetti i fiorentini prediligevano le schiacciate ed i "berlingozzi", dolci tipici mangiati appunto nel giorno del Berlingaccio. Il martedì invece, l'ultimo giorno di Carnevale, alle 23, suonavano le campane i cui rintocchi solevano ricordare che l'allegra festa di lì a poco si sarebbe conclusa portando via con sé il piacere del mangiar bene, senza limiti e distinzioni. Oggi a differenza di quanto avveniva una volta e, fatta eccezione per alcuni luoghi, come Viareggio, il Carnevale suscita scarso interesse; è come se fosse gradualmente scomparso l'antico intento di dedicare un breve periodo dell'anno, avulso dall'ordine generale delle cose e contemporaneamente reso inoffensivo, all'esplosione della natura umana, al ribaltamento dei ruoli, all'inversione dei valori; forse perché tutto questo caos elevato alla massima potenza è diventato ora cronaca, fa parte della nostra contraddittoria esistenza incapace di arginare l'incalzante avanzare dell'onda che tutti chiamano "quotidiana e ordinaria follia". E a chi intende neutralizzarla un motto fiorentino in piena regola: "A Carnevale ogni scherzo vale"!


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