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di Bruno Daddi


Paglie di Firenze

Oggi non ce ne rendiamo conto, magari ci viene da sorridere, eppure, per tutto l'Ottocento, signore e signorine di buona famiglia avrebbero fatto pazzie pur di entrare in possesso di: "Un Cappello di Paglia di Firenze". Ed Eugène Labiche, il commediografo francese vissuto fra il 1815 ed 1888, ne prese spunto per un gustoso vaudeville dallo stesso titolo del 1850, ricco di intrecci e situazioni più o meno piacevoli, abbastanza recentemente musicato da Nino Rota, il compositore prediletto di Fellini. Cappelli di paglia di Firenze prodotti un po' in tutto il comprensorio fiorentino ma che comunque avevano la loro capitale in Signa da dove poi si era costituito un vero e proprio piccolo impero con lavoranti non solo della Toscana, dove ben presto la coltivazione del grano da paglia da intreccio occupò un terzo della superfice coltivabile, e che ebbe altresì propaggini in Romagna (Monghidoro), Marche (Montappone e Falerone) e addirittura Veneto con Marostica. Gli occupati nel settore erano stimati dagli 80.000 ai 100.000 a seconda delle fonti, costituiti per la massima parte dalle cosidette "trecciaiole" ovvero le donne che, con particolare maestria riuscivano ad interessare una certa lunghezza di treccia. Memorabile in proposito è il loro sciopero del maggio 1896.


Trecciaiole

Ed a questo produzione, a questa feconda attività che a suo tempo fece molto ricca la zona di Signa sono state dedicate, in questi ultimi anni una serie di manifestazioni che hanno culminato il 17 maggio 1997 con l'inaugurazione del Museo della Paglia e dell'Intreccio Domenico Michelacci, in Signa, Via degli Alerti n.11, primo e unico in Italia su iniziativa di alcuni industriali del luogo sostenuta dal Gruppo Archeologico e pienamente condivisa dalla autorità comunali. Abbiamo detto che Signa era la capitale della lavorazione degli articoli in paglia, specialmente cappelli e come ogni capitale che si rispetti aveva il suo Re, o meglio il suo fondatore, nella persona di Domenico Michelucci, cui appunto è intitolato il Museo. Questi, detto il Bolognino in quanto proveniente dalla città felsinea, arrivò in Toscana nel 1714 ed a Signa prese dimora.

In effetti qui si aveva già una lavorazione della paglia ma piuttosto rozza anche se alcuni dei navicellai che trasportavano carichi di merci fra Firenze e Pisa portavano a Livorno alcuni dei cappelli prodotti e riuscivano a venderli ai tanti forestieri che capitavano in quel porto e che li apprezzavano più che altro per l'ingegnosa maniera della loro intrecciatura. Il Michelacci si rese tuttavia ben presto conto che per meglio conquistare il mercato occoreva un prodotto migliore che non sin allora realizzato con la normale paglia assai grossolana che rimaneva dopo la mietitura, utilizzando quindi una materia più fine e raffinata. Circa quattro anni durarono i suoi esperimenti, i suoi tentativi, le sue ricerche ma senza alcun tangibile risultato sino a quando ebbe come una folgorazione: si doveva seminare il grano senza preoccuparsi di ricavarne il frumento mirando solo alla cultura degli steli, quanto più sottile possibile. Così nonostante le critiche e le riprovazioni per quelle spighe piccole e prive della "grazia di Dio" che era il frumento, per quegli esili, rachitici steli con i quali tuttavia, una volta imbiancati dal sole e la rugiada, le mani di quelle esperte trecciaiole riusciriono as intessere cappelli mai sino allora veduti che destarono l'ammirazione anche dei più scettici e che il Michelacci portò a Livorno ove riuscì ben presto a venderli ai forestieri di passaggio e ad averne imponenti richieste e ordinazioni anche per l'anno successivo. Ebbe così il più lusinghiero inizio di una vera e propria industria della fabbricazione dei cappelli di paglia che apportò grande ricchezza nella zona con la nascita di numerosissime aziende la cui produzione raggiungeva per la maggior parte i mercati esteri: Parigi,Londra, Dresda, New York, Vienna, Il Cairo, Malta, Messico, Lima, Panama, Guatemala, Avana, Berlino, Costantinopoli e numerosi altri.

Senonché questo trend positivo venne purtroppo a cessare per vicende economiche e belliche e diversi orientamenti della moda. Di consequenza si ebbe un notevole declino anche se continuano, ancora oggi ad operare nel comprensorio diverse aziende del ramo per cui, con opportuni accorgimenti l'attività potrebbe riavere nuovo impulso ed è questo a cui mirano le autorità locali. Ma torniamo al Museo che merita veramente una visita; il materiale raccolto è abbondante e non tutto può essere esposto nella diecina di ambienti possibili in attesa di poter trasferire il tutto nel centro di Signa, nel palazzo di via Ferroni, già sede del municipio; per questo si è deciso, in un primo momento, di riservare le sale a tutto quanto concerne la lavorazione e produzione di cappelli che poi era praticamente quella base; così abbiamo tutta una serie di pannelli e fotografie di epoca, tanti e tanti tipi di treccia più o meno raffinati che fanno rivivere quel magico periodo, nonché diversi macchinari pure di epoca ricevuti in dono da ditte, alcune delle quali tuttora operanti come la Giulio Corti & F.llo di Signa (oggi Corti srl) ovvero ormai cessate quali la Ditta Franceschini fondata nel 1820 a San Piero a Ponti dal signese Antonio Franceschini la quale, a seguito della crisi del 1929/1930 si vide costretta a porsi in liquidazione il 5 febbraio 1932, ma i cui eredi avevano continuato a detenere alcune attrezzature e inoltre la ditta Marzi ed altri ancora. Alcuni pezzi sono pervenuti da altri località, fra questi, oltremodo interessante, un telaio reperito a Fiesole sul quale le bigherinaie (immortalate anche da Telemaco Signorini in un quadro recentemente esposto nella mostra a lui dedicata in Sala Bianca di Palazzo Pitti) tessevano la paglia facendo appunto i bigherini (specie di trina assai stretta per guarnizione di vestiti di donna). Fra i cappelli esposti, alcuni dei quali potrebbere essere portati anche oggi con grande disinvoltura, abbiamo un pezzo davvero unico (ne furono eseguiti solo 3 esemplari), di metà ottocento, una graziosissima cloche appartenuta ad una Imperatrice di Austria, forse alla stessa Sissi, proveniente questo da Casa Brugisser.


Depliant pubblicitario (1929)

Signa dista appena quindici chilometri da Firenze, il paese è lindo e accogliente, la cucina buona e per gli appassionati del bel canto, alla periferia si trova la Villa Bellosguardo già appartenuta al celebre tenore Enrico Caruso ed oggi sede di attività musicali. Vale proprio la pena di farci una capatina. Orario del museo: lunedì chiuso - martedì e sabato 9.00-12.30 - mercoledì, giovedì e venerdì: 15.00-19.00 - Domenica su appuntamento tel. 055/87941.


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