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Di Cinzia Dugo





Pellegrinare nell' Oltrarno

La grande celebrazione del Giubileo si stava avvicinando ed io viaggiatore incallito con un impaziente desiderio di risanare le paludi spirituali della mia anima decisi, senza peraltro averne piena coscienza, di suggellare uno dei momenti più significativi della nostra storia con un pellegrinaggio. In realtà inizialmente voleva essere soltanto un viaggio, un percorso come tanti, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa - edifici, monumenti, chiese, opere d'arte, paesaggi, persone o semplicemente cose - che al mio passaggio facesse vibrare le corde di tutti e cinque sensi, che arrivasse a guadagnarsi il titolo di ricordo nella memoria di chi è avvezzo a fagocitare, a incamerare con una voracità impressionate dati ed elementi nuovi e inesplorati, considerati più allettanti se è un un viaggio a lasciarli scoprire. Per questo motivo tra le città in lista per l'ambita destinazione superò la selezione Firenze; fu lei che mi insegnò l'arte della visita paziente e non frettolosa, grazie a lei elaborai una nuova moderna concezione del pellegrinare, degna del passaggio che qualche mese fa abbiamo avuto la fortuna di attraversare. Acquistai la consapevolezza infatti che il proposito spirituale con il quale si vuole mettere in atto questa pratica può anche non limitarsi esclusivamente ad un atto religioso di carattere mistico, ma sconfinare nel 'profano' o meglio è possibile ritrovare l'essenza delle cose, di ciò che ci circonda scandagliando, osservando, mettendo la nostra sensibilità al servizio di tutti gli aspetti della vita e non solo quelli che riguardano più strettamente e direttamente i tradizionali luoghi di culto. A questo proposito mi sia permesso citare una tra le più belle metafore letterarie che mi sia mai capitato di leggere: proprio come un raggio di sole che, filtrando attraverso la finestra, lascia intravedere una miriade di particelle che altrimenti non sarebbero apparse ai nostri occhi, così quel famoso viaggio nel capoluogo toscano fu in grado di lasciarmi scorgere una parte della città che si pone al di fuori dei clichès turistici cui normalmente è sottoposta Firenze e che a mio avviso profuma di vita, di storia quanto una Madonna di Giotto. Mi sto riferendo all'Oltrarno, tutta quella zona che si dispone al di là del fiume e che è ovviamente raggiungibile attraverso un elemento architettonico che, guarda caso potrebbe simboleggiare il momento di passaggio, di iniziazione alla condizione spirituale che cercavo e non trovavo a pieno nei luoghi della fede fiorentini: il ponte, anzi i quattro ponti denominati ponte alla Carraia, ponte Santa Trinita, ponte Vecchio e ponte alle Grazie.
Così dopo aver percorso con pedissequa costanza gli itinerari classici della città del Giglio proposti generalmente al turismo di massa, religioso e non, entusiasta, ma non sufficientemente appagato, decisi di dedicare gli ultimi tre giorni della mia singolare gita al famoso quartiere di S. Spirito. Una tappa per certi versi obbligatoria per un tipo come me che in quel momento non sapeva rinunciare al bisogno di esternare un sentimento religioso non ben definito, qualcosa a metà tra la venerazione, l'umiltà e il desiderio di ricchezza interiore. Qualcosa che a ragion comune avrei potuto trovare nelle splendide chiese che impreziosiscono il quartiere di S. Spirito come la Chiesa di S. Frediano in Cestello caratterizzata da una facciata in pietra e laterizio ed edificata da Antonio Ferri nel 1600 con decorazioni e ornamenti in stucco e dove lavorarono vari artisti tra cui Pier Dandini, Camillo Sagrestani, Alessandro Gherardini etc. o come la celeberrima Chiesa del Carmine, gioiello dell'arte italiana per gli affreschi contenuti nella Cappella Brancacci attribuiti a Masaccio e Masolino, il cui connubio professionale fu consacrato dal bellissimo ciclo nel 1424-25. Non da meno avrebbero potuto essere la Chiesa di S. Spirito da cui prende nome la zona e che risale alla metà del Duecento, interamente ricostruita dopo la morte del suo disegnatore-progettista, il grande Filippo Brunelleschi tra il 1445 e il 1460 e la Chiesa di Santa Felicita che sorge su un'area precedentemente occupata da una basilica paleocristiana (fine IV secolo). La prima, la cui realizzazione è ascrivibile al Manetti che non si attenne fedelmente al modello dell'autore, contiene numerose pale d'altare e sculture del XV e del XVI secolo, un'opera barocca di Giovanni Caccini situata sotto la cupola. Di rilievo sono anche il Vestibolo con volta a botte, la Sagrestia disegnati da Giuliano da Sangallo e il frammento dell'Ultima Cena di Orcagna nel Refettorio. La seconda subì diversi rifacimenti divenendo ora la chiesa dei Medici, ora dei Lorena per assumere infine l'aspetto tuttora visibile assegnatole nel 1736 da Ferdinando Ruggieri e all'interno della quale si può ammirare una delle opere maggiori del Manierismo: la "Deposizione", eseguita dal Pontormo tra il 1526 ed il 1528.
Tuttavia in nessuno di questi templi della spiritualità avrei potuto avvertire un'armonia a tutto tondo, una di quelle da cui raramente ti capita di essere investito e che, se ti succede, non tarda ad infonderti una strana forza, a trasmetterti la convinzione di essere invulnerabile, pronto a sventare attacchi di ogni genere, dai dolori alle banalità della vita. Sarà incredibile a dirsi, ma quella sensazione di compiutezza e ricchezza interiore, quel bisogno di religiosità che si manifestava insistentemente senza trovare appropriato sfogo, trovò uno strano modo per rivelarsi e lo fece laddove l'arte si confonde con l'artigianato, laddove il tempo sembra essersi fermato a dispetto dell'irrefrenabile avanzare della moderna tecnologia. Si espresse tra le meravigliose viuzze che popolano l'oltrarno, sede della migliore manifattura fiorentina rappresentata egregiamente dalle caratteristiche botteghe di rigattieri, falegnami, bronzisti, fabbri, restauratori, calzolai, antiquari, orafi, intagliatori etc. Camminando per Borgo S. Frediano, perdendomi tra i vicoli di via dei Cardatori o dei Tessitori, soffermandomi a guardare le vetrine delle botteghe di Borgo Tegolaio o di via Maggio capii che la bellezza di questo tesoro che lo scrigno della città custodiva gelosamente si lasciava contemplare solo da pochi eletti ed io da quel momento divenni uno di loro, perchè diverso era lo spirito con cui guardavo, più attento, paziente, scrupoloso, ricettivo. Mi sentii fortunato, mi sentii un pellegrino che scoprì di esserlo entrando in contatto con un mondo che solo apparentemente non aveva niente a che fare con lo spirito, che invece trasudava amore, sensibilità, rispetto, perseveranza, fedeltà, gli stessi sentimenti che si possono associare ad un uomo di fede. Osservando le mani degli artigiani che si cimentavano nella produzione di oggetti in carta, in pelle, in ceramica, in pelle mi resi conto di quali affascinanti e varie fossero le risorse di cui dispone la vita che spesso si lascia amare soltanto da chi ne comprende il senso e non da chi la segue per convenzione. Quella per me fu un'importante lezione, di vita, di fede, un'inaspettata iniezione di spiritualità da cui imparai ad avvicinarmi alle cose del mondo siano esse 'sacre' o 'profane' con un atteggiamento nuovo basato sulla comprensione, sulla ricerca, in continuo rapporto dialettico con gli altri e me stesso. La mia permanenza a Firenze durò più del previsto. Rifeci il giro delle chiese, ma da pellegrino.


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